giovedì 20 marzo 2008

SCRIVERE - di Elena Zerbin (Testo in corsivo) - Presentazione di Franca Fusetti

La parola, come una divinità olimpica, nasce e vive per sempre. Nasce come viene pronunciata o scritta, anche solo pensata, e percorre il suo eterno cammino. Vive di forza inesauribile e si espande nel mondo producendo una catena di relazioni fra causa ed effetto a rincorsa, trame intessute di imprevedibili e fantasiosi orditi.
Diversi dunque i modi di darle vita. Uno dei più seguiti è la scrittura. Basta fare una capatina in libreria per capirlo. Nonostante ciò ci sono testi, che in libreria non arrivano. Rimangono in un cassetto di comodino o dimenticati in soffitta. Peggio, possono finire al macero per il riciclaggio, come mi è capitato di sapere. Ma anche così, nel silenzio, esse vivono. Vivono del rimpianto di un incontro perduto. Alla parola è concesso un suo respiro dunque. A darle alito, in questo componimento, è un’anziana signora, nata e vissuta sempre presso le sponde del Po di Gnocca che ha sentito il desiderio di raccontare e mi ha dato il permesso di pubblicare il testo in questo blog.
-Vuole che metta uno pseudonimo, le ho chiesto.
-Ho già segnalato le mie generalità, ed anche la data di nascita, mi ha risposto.

“Mi chiamo Zerbin Elena, sono nata a Porto Tolle il cinque agosto del millenovecentoventuno-Ho ottantacinque anni..
Questo mio libro (quaderno) chi lo raccoglierà spero lo tenga per una memoria. Come chiamarlo? Diario, ma non so. Vorrei scrivere un po’ della mia vita, da quello che mi ricordo.
Ero una bambina nel 1929, in pieno inverno, freddo, il Po ghiacciato, la gente andava qua e là sopra il ghiaccio del Po di Gnocca.
Tempi duri, non si conosceva nemmeno cosa fosse una stuffa a legna, bruciavamo canna e paglia, nel camino, per scaldarsi.
Nel 1930 mio fratello era andato a prestare il servizio militare, mia mamma e mio papà e mia sorella lavoravano in risaia. Me, andavo a scuola, ma in questo periodo mio papà si ammalò di una malattia piuttosto brutta: il tinfo nero. Una malattia contagiosa: eravamo con il filo tirato intorno casa. Non poteva entrare nessuno, si potevano prendere la malattia.
Mio papà si fece ottanta giorni in letto e, io, me lo custodivo.
Allora si pagava tutto, medicine e pure l’ospedale.
Tempi duri, tempi neri, si lavorava tanta terra, dieci campi di risaia, come dire, melma si zappava! Non ci conoscevamo se eravamo persone o bestie: tutti pieni di terra sporca. E a fine anno quando si andava a fare i conti col padrone, eravamo rimasti in debito quaranta lire. A quel tempo erano tante; si portava a casa riso e formentone (granoturco) per tutto l’anno, ma non bastava. Solo quello! Il pane, vino, solo una volta alla settimana. Ho lavorato!
Nel tempo del fascismo, se volevo guadagnare la giornata, dovevo andare a marciare, come dire: fando (facendo) uno-due il sabato fascista!
I tempi purtroppo erano così, ma dentro me non mi sentivo per quel fare, mi sentivo ad essere alleata con tutti e aiutarsi nel modo più umano della nostra vita. Quello per me lo trovavo più importante.
Nel 1940 eravamo in guerra, avevamo la tessera per comprare quel po’ che si trovava. Poco zucchero, poco di tutto, non si trovava il sale. Il mangiare lo facevamo con l’acqua salata che andavamo prenderla nelle valli. Tutto era razionato.
Nel 1943 l’otto settembre avvenne l’armistizio, entrarono i tedeschi, ci facevano il coprifuoco. Alle otto di sera tutti chiusi dentro casa. Rastrellamenti. Venivano alle case con fucile e mitra per vedere se trovavano qualcuno che fosse scappato dalla guerra per portarli in Germania.
Aeroplani che bombardavano. Andavo a lavorare. Mi nascondevo in mezzo il riso, nei fossi pieni d’acqua, appena fuori con la bocca per respirare, piena di paura. Buttavano giù spezzoni. Dove andavano giù facevano delle buche tanto larghe e di tanta profondità; mi trovai in mezzo la risaia a cento metri di distanza dal spezzone, per fortuna la risaia era tenera, altrimenti non so come mi avrebbero trovata: o ferita, o morta. Ancora mi sento i brividi, che ho ottantacinque anni. Tutto è passato, ma lo si ricorda!
Nel 1945, il 25 aprile è finita la guerra e ai 15 di dicembre mi sono sposata.”

La signora Elena continua il suo racconto citando il susseguirsi di avvenimenti familiari . La nascita dei figli e il duro lavoro nelle valli, assieme al marito dediti alla pesca, alla raccolta della canna e al lavoro nei campi. Racconta come per lei non ci fosse mai riposo, ma quanto fosse felice nel veder crescere i figli e nel realizzare la costruzione di una piccola casa in muratura togliendosi dalla “baracca” dove, per povertà, erano stati costretti a vivere fino ad allora.
Anno dopo anno Elena costruisce la sua storia. Ora che gli anni sono aumentati e vanno verso i novanta, fa una riflessione su come le sembra che vada il mondo.

“Siamo nel Novembre del 2007- vorrei scrivere ancora un po’.
Mio marito il prossimo anno ha novanta anni ed io vado per gli ottantasette.
Tutti dicono è cambiato il mondo. Io dico è la gente, le persone che sono cambiate. C’è odio, invidia, non ci vogliamo più bene. I figli che ammazzano i genitori, oppure i padri che ammazzano i figli.
In questo momento mi faccio delle domande ma devo trovare anche delle risposte. Allora mi soffermo un po’ e me ne faccio una ragione, poi mi guardo intorno. Manca il rispetto, la comprensione, l’amore vero di parlare fra genitori e figli. Ma i genitori sono messi da parte perché, dicono, siete vecchi e non sapete niente. E’ vero che siamo vecchi, ma io dico, sono capaci loro di mettere in atto il cervello e farlo ragionare? Tante persone sono anziane e sole, ma questa è una ruota che sta girando per tutti. A questa età si ha bisogno di una parola di conforto. L’amore quello vero, il rispetto dov’è andato a finire?
Con tutta la mia esperienza che ho fatto, e ne ho passate tante, non capisco perché si debba vivere tanta solitudine e incomprensione ora che c’è il benessere.”

La signora Elena scrive con lo stile che le è stato insegnato negli anni venti. Stile della parlata spontanea. Mentre la leggo mi sembra di sentirla. Fra di noi parliamo in dialetto, ma ogni tanto si riporta qualche frase in lingua italiana e mi pare di sentire la sua voce.