martedì 15 gennaio 2008

Omaggio a Giovanna e Franca

La sposa Nara

autrici: Giovanna per il testo in corsivo
Franca per il testo ordinario

Dalla finestra aperta entra, col sole, anche il brusio continuo del fiume di persone che passa là sotto, in ogni stagione. Ma non si vede nessuno, neanche a sporgersi, perché le stanze sono all’ultimo piano del palazzo, proprio sopra il tetto, e una larga parte sporgenti di questo chiude la visuale della strada. Gli occhi rimangono invece poco sopra la copertura del Corridoio de Vasari, che corre da Palazzo vecchio a Palazzo Pitti, , e poi, alzandosi, abbracciano uno spicchio delle colline: verso sinistra San Miniato al Monte spicca nel verde con i marmi bianchi della facciata come una figurina ritagliata, e poi il Forte di Belvedere, che per fortuna non è mai stato chiamato a difendere la città, perché sembra messo lì più per farsi guardare, che non per la guerra.
Si vede anche l’Arno, da quelle finestre, e così Nara l’acqua ce l’ha anche ora, sia pure in una cornice così diversa.
Ma Nara qui sta bene dentro casa, quella casa in cui il suo Gigi è nato ed è stato sempre, anche quando è rimasto solo dopo la morte dei genitori, e non sapeva dove mettere le mani per tenere ordine e cucinare. Quelle mani così abituate a fare un lavoro delicato e minuto, in cucina riuscivano a rompere i piatti, a versare acqua per terra, a mettere di sghimbescio la tovaglia sulla tavola.
Fa l’orafo, il suo Gigi, e ha il laboratorio proprio a due passi, sotto l’arco, insieme ad altri artigiani come lui. La sua fantasia e le sue dita fabbricano lavori d’oro lievi e traforati come un ricamo.
Un’altra cosa che fa Gigi è andare in bicicletta, ed è stato proprio durante una gita a Venezia con il gruppo dei suoi amici, che si è fermato a chiedere di riempire la borraccia d’acqua presso una casa isolata fra due canali, due bracci del delta del Po.
L’acqua gliela data una ragazzina smilza, bruna e silenziosa, e mentre Gigi risaliva in bicicletta quel cosino ha alzato gli occhi a guardarlo. Occhi fondi, che vedevano fuori e si aprivano allo stesso tempo come una finestra per farsi guardare dentro. Ci si scopriva il verde di piante palustri, che nello specchiarsi e perdersi nell’acqua rendevano verde anch’essa. Ci si scoprivano sogni di chissà che cosa, forse sogni di sogni. Ci si poteva perdere, in quegli occhi, tirati dentro da una magia sottile, buona e dolce, come la carezza dell’acqua nella corrente lenta e senza sosta.
Ha sorriso, e a Gigi quel sorriso gli è rimasto dentro per tutta la gita, gli è rimasto dentro come la luce di un faro che segnala in mezzo al nulla un riferimento sicuro, una presenza umana, l’intimità di uno spazio caldo e raccolto.
Ha preso l’automobile, quindici giorni dopo, per tornare a cercarla, riandando a memoria per quello spazio grande e piano. Lei, l’ha vista da lontano, seduta sull’argine alto, ma non l’ha chiamata, è andato diretto verso la casa.
Un uomo sul retro, seduto su di un tronco tagliato, gonfiava le gomme di una bicicletta.
“E’ lei il babbo di quella ragazza che si vede lassù?”
“Nara? Sì.”
Gigi gliel’ha chiesta, semplicemente, gliel’ha chiesta in sposa. E se prima non l’ha detto alla ragazza non è stato per mancarle di rispetto; era sicuro anche per lei.
L’uomo lo ha guardato senza stupirsi, con gli occhi liquidi al fondo come quelli della figlia, ma qui non c’erano sogni, c’erano fatica e fatalità. L’ha guardato a lungo, in silenzio, e poi ha detto sì, va bene, e gli ha teso la mano. Un contratto fra uomini, prima che davanti al prete.
Così, Gigi si è fermato i giorni necessari, e dopo la messa e la festa sul prato se l’è portata via, ancora col vestito di sangallo bianco indosso. Se l’è portata a casa, a Firenze, e le ha messo nel palmo della mano le chiavi, come in un rito.
Sono passati quasi quattro mesi, ormai. Nara, quassù sui tetti, si sente la regina di un pezzetto di paradiso. Lucida, cucina, canta verso il cielo le canzoni della sua terra. Gigi, quando rientra, la stringe forte, e lei si rannicchia dentro quelle braccia lasciandosi andare alla corrente delle emozioni che le arrivano dal tocco, dall’odore, dai sussurri del suo uomo, come un tempo si faceva prendere dai profumi e dai colori del fiume e dalla vita che vi scorre dentro e accanto. Lui la sente vibrare, ed è una bella canzone.
***
Nara, da giorni, sente il suo corpo cambiare, una tensione premere dal suo ventre, dai suoi seni, Gigi le sfiora le labbra, fattesi più dense e morbide, con indefinito stupore.
In fondo agli occhi della sua sposa vede ora una luce calda ed avvolgente come gli assolati tramonti in Sacca, da lei più volte descritti, quando la palla di fuoco avvampa la laguna, e vede una nuova consapevolezza riaffiorare. Stordito, Gigi, la lascia, come ogni mattina, per recarsi al lavoro.
Quel giorno non riesce ad applicarsi sui suoi delicati gioielli. Dovrebbe completare una spilla a cui manca d’incastonare un rubino, ma inutilmente: il rubino è riottoso, non entra nel castone gli scivola dalle pinze; forse dovrà ripetere il taglio della pietra o, più ragionevolmente, riadattare l’incavo in quella lavorazione a filigrana che lui sa eseguire con perfezione…si vedrà? Per il momento ripone gli arnesi, si toglie la lampada appoggiata alla fronte assieme alle lenti d’ingrandimento e si sofferma a rimuginare su ciò che gli sta capitando. Più riflette e più si va rafforzando in lui la certezza di un’imminente rivelazione da parte di Nara.
L’ama tanto, Dio solo lo sa, ma un bambino no, spera di no con tutto se stesso: non è pronto a diventare padre perché troppo giovane, o forse troppo egocentrico; sicuramente non ancora maturo.
Da quando i suoi l’hanno lasciato ha dovuto cavarsela da solo nel gestire il piccolo patrimonio ereditato, così come per le incombenze quotidiane. Non è stato facile, soprattutto quando ha affrontato il matrimonio. Ha dovuto rivedere da solo l’arredamento della casa per renderla funzionale alla nuova vita di sposi. E’ stato necessario eliminare qualche pezzo della vecchia mobilia, cara ai genitori scomparsi: recidere legami affettivi con le cose, con i ricordi. Nara era lontana e solo il pensiero di lei lo sosteneva in quello spoglio affliggente. Poi Nara è arrivata, condotta da lui, ed ogni cosa, ogni sentimento hanno ripreso la giusta connotazione ed un nuovo valore. La sua vita ha cominciato a nutrirsi di un’energia sconosciuta che rendeva lieto lo scorrere dei giorni.
Mentre sale le scale, all’ora di pranzo, sente il fiato mozzarglisi in petto per via dell’ansia causata dai suoi timori.
La cucina è inondata di luce ed un buon profumo di cibo appena cotto intriso di aromi mediterranei gli sgombra la mente ed attenua la tensione.
Nara termina di apparecchiare la tavola senza tralasciare un piccolo fiore di abbellimento, come se ce ne fosse bisogno! Lei è un fiore che dà ornamento a tutta quella casa ed alla loro esistenza! Gigi non manca di dirglielo: - I fiori vanno bene Nara! Ma sappi che te tu sei il fiore per me! – Sono uno stupido! – Si ripete Gigi mentalmente. – Perché ho così tanta paura di un bimbo? Ma sì, mi sto preoccupando per nulla! – Cerca di convincersi – Ma per un figlio è ancora presto, presto anche per Nara! –
***
la corriera delle quattro e mezza si ferma, là fuori, giusto il tempo di far scendere un passeggero.
- Toh, è tornato prima il Tonin, oggi – pensa.
Tonin, il figlio di una delle tre famiglie che abitano lì, in quel gruppetto di case, è l’unico che lavora al paese, alle Poste, e va avanti e indietro ogni giorno. Gli altri, nei campi o a pescare, oppure se ne vanno appena possono. A cercare lavoro altrove, che di continuare la vita dei loro vecchi non ne hanno voglia. O forse, chissà, non sopportano i silenzi, il vuoto, la nebbia. Bisogna amarla molto questa terra per esserle fedeli. Oppure se ne vanno per sposarsi, come la sua Nara, che ancora così bambina le è stata portata via, lontano.
Lo sa che Nara è amata e rispettata, che ha una casa dove è regina. Anche lei ama e stima suo genero, ma le manca la sua bambina, le manca. E’ circondata solo da uomini ormai, il marito e gli altri tre figli. Mentre fra loro donne anche se non hanno mai sprecato parole c’era già un’intesa, un muoversi uguale e insieme.
- Mamma, sei qui? –
- La voce la sorprende alle spalle, i pensieri che brulicano per la testa l’avevano distratta. Si volta di scatto, ed eccola lì, figuretta ritagliata nella luce della porta.
Sembra un miracolo, un’evocazione del pensiero, ma nel tenerla stretta stretta nell’bbbraccio sente bene che è qui davvero, la sua Nara.
La ragazza rimane per un attimo sorpresa, sua madre non è mai stata usa a lasciarsi andare a tante manifestazioni di tenerezza, ma capisce subito il suo stato d’animo, e l’abbraccio si fa ancora più forte.
- Stai bene? Come mai questa sorpresa? –
L’ha scostata ora, la madre, e la guarda attentamente un poco accigliata, tesa a cogliere sul viso della figlia segni rassicuranti. Poi, d’improvviso, una luce negli occhi, un sorriso gioioso, un’espressione di sollievo.
- Sei incinta, bambina mia. –
- Come lo sai? –
- Lo so e basta. Vieni, siediti e racconta. –
Così si mettono accanto, le mani nelle mani. Rimbalzano dall’una all’altra sintomi e sensazioni, domande e consigli, ricordi e timori. Una confidenza tutta nuova.
- Sai, mamma, sono rimasta così sgomenta! Non ho avuto neanche il coraggio di parlare con Gigi. Lui ha capito che c’è qualcosa che devo dirgli, e penso anche che immagini cosa, e se non gli ho detto niente è perché l’ho sentito spaventato come me. Ma ora che sono qui, non ho più paura. Nascerà a maggio, il mio bambino, e voglio che sia qui, nel letto dove sono nata io, e anche tu, mamma, e la nonna prima di noi. Così voi mi aiuterete. Crescerà a Firenze, come è giusto che sia, nelle cose belle e nel rumore della città che anch’io ho imparato ad amare. Ma gli occhi li deve aprire qui, e le prime cose che vedrà devono essere i canneti, e l’acqua, e le distese di terra, e tutto quel mondo che io ho sempre dentro così forte. –
Rotti gli argini come un tempo facevano le piene del Po, i pensieri si quietano, hanno uno spazio largo su cui procedere.
Si è fatto quasi scuro, e non se ne sono accorte, il lume non è acceso. Gli uomini tornano, tutti insieme.
- Non si cena stasera? –
Entra in cucina il maggiore dei figli, sempre il più affamato. Guarda stupito e preoccupato alla tavola neppure apparecchiata, mentre la madre è sempre così pronta al loro rientro. Non si è accorto delle due donne vicine, nell’angolo.
- Pane e formaggio – è la risposta franca e decisa che gli arriva.
La mattina dopo, Nara è in oiedi appena fa giorno, ansiosa. Non vuole che sia troppo presto per non spaventarlo, ma neppure troppo tardi che sia già uscito al lavoro, per telefonargli.
- Gigi, mi manchi. Mi vieni a prendere domenica? -
***
Gigi raggiunge il casolare la domenica pomeriggio.
Ora che sta per diventare padre, suscita un sentimento di stima e solidarietà nella famiglia di Nara, che lo accoglie con accresciuto affetto.
Il ragazzo percepisce un atteggiamento quasi di protezione. Vorrebbe chiederne spiegazione a Nara. Ma lei non accenna ad appartarsi, dato che tutti sono riuniti nella grande cucina per l’imminente cena. Con lo sguardo gli comunica teneramente di pazientare accennando alla madre indaffarata presso la stufa dove la polenta ed i “bisati in tocio” sono quasi pronti.
Intanto Gigi viene calamitato da Riccardo, il fratello maggiore di Nara che vuol saper tutto sul viaggio. Sebbene stanco, non vuole deludere l’entusiasta curiosità del cognato e non lesina i particolari né le impressioni che lui stesso ne ha colto.
Si è messo in cammino di buonora, quando la città era ancora immersa nel sonno. Le vie e le piazze erano deserte, appena delineate dai primi albori. I profili dei palazzi, la torre di Palazzo Vecchio, la cupola di S. Maria del Fiore si stagliavano nette contro il cielo appena rischiarato. Alcuni scorci si presentavano in controluce come nere sagome minacciose.
Riccardo immagina la città scorrere nel riquadro del parabrezza come una pellicola cinemascope: i palazzi che si avvicinano, per fuggire subito via, uno dopo l’altro, di corsa; il Ponte Vecchio cingere l’Arno che è come il Po, ma più piccolo, forse come il Canal Grande a Venezia perché, anche là, c’è un ponte con botteghe orafe.
Gigi racconta di aver preso la strada che porta a Pratolino, Cafaggiolo, Barberino di Mugello, Passo della Futa, Pietramala, Passo della Raticosa ed infine giù verso Bologna passando da Monghidoro e Pianoro.
Una volta raggiunta Ferrara e Trisigallo gli sembrava di essere già arrivato, il paesaggio uniforme della campagna padana scorreva velocemente. Raggiunta l’Abbazia di Pomposa il racconto descriveva percorsi noti che fortunatamente erano sgombri della solita nebbia. Nel tratto toscano che come si sa, è quasi tutto collinare, si incontrano vaste estensioni di vitigni e oliveti e le strade sono costeggiate da file di cipressi.
- Te la ricordi “Davanti San Guido” che fa: i cipressi che da Bolgheri alti e stretti/van da San Guido in duplice filar/quasi in corsa giganti giovinetti/mi balzarono incontro e mi gardar..? –
Riccardo rammenta di averla mandata a memoria quasi tutta alle elementari e di aver mandato anche la maestra a quel paese più di una volta; però è bella e Gigi l’assicura che l’immagine è la stessa e che il paesaggio è poesia. Riccardo rimane colpito e sogna di poter, un giorno, percorrere quei luoghi con un mezzo proprio, magari con una lambretta che da tempo conta di acquistare.
-Pronti a tavola! – Annuncia la mamma con voce festosa.
Nara e Gigi prendono posto vicini. Finalmente possono stringersi affettuosamente la mano mentre la mamma scodella il brodetto di anguille accompagnato dalla polenta nel piatto.
La polenta è rigorosamente bianca con profumo più delicato rispetto a quella toscana. Prima che Gigi portasse qualche chilo di farina, in Borgo Polesinino, nessuno avrebbe potuto credere che potesse esistere del granoturco giallo.
Lorenzo ne aveva sentito parlare, quando era soldato, dai compagni del centro e sud d’Italia. Più di un’argomentazione si trattava di uno sfottio – precisa Lorenzo – loro chiamavano noi Veneti “polentoni” perché correva voce che non mangiassimo che polenta. Nel Meridione cresce bene il grano duro che serve per fare la pasta e il pane. Le nostre zone sono buone per il grano tenero ed il granoturco. La polenta ha preso il posto del pane fresco che costa troppo. E non solo. Abbiamo un forno inadatto a soddisfare una richiesta giornaliera. Al posto della pagnotta, qui si fa il “bussolà”, un pane a ciambella di un venti centimetri di circonferenza e circa cinque di diametro – come questo che puoi vedere in tavola - che ora è morbido perché appena cotto, ma che diventa secco e può durare per più di un mese. Si spezzetta nelle zuppe di verdura e nel caffelatte e si intinge in acqua per ammorbidirlo quando si consuma con fette di salame, in questo modo il forno ce la fa a rifornire tutte le famiglie del pane necessario.
E’ il padre che parla quasi sempre rivolto al genero che è il commensale di riguardo, il resto della famiglia ascolta rispettosamente. La madre interviene di tanto in tanto per assicurarsi che tutti abbiano cibo a sufficienza.
Gigi ascolta garbatamente ma è impaziente di restare solo con Nara. Lorenzo lo intuisce e fa in modo di non protrarre i tempi della cena pur avendo voglia di raccontargli della famiglia d’origine e dell’ umile storia che aveva caratterizzato la vita in Polesinin. Lo farà in un momento più favorevole.
Possono finalmente coricarsi. Gigi si sente indolenzito in ogni parte del corpo per la tensione accumulata durante il giorno e, sebbene accoccolato fra le braccia di Nara, non riesce a sgombrare la mente dall’assillo che lo accompagna ormai da qualche settimana. Il suo volto è tirato, pieno di ombre.
- Perché sei così pensieroso?
- Non sono pensieroso.
- Invece sì, si vede che qualcosa ti preoccupa.
- Non c’è niente che mi dia pensiero o forse sì…ma non è una preoccupazione, è qualcos’altro.
- A cosa pensi?
- Nara, ti vedo così cambiata!
- Cambiata come?
- Sei diversa, sei più…
- Più brutta?
- Nohoh!, ma che dici schiocchina! Perché dovresti essere diventata “più brutta”? Non sei e non sarai mai brutta.
- Allora, cosa sono “più”? Spiegami bene che intendi con quel “sei più”.
Nara lo sa che Gigi ha capito da tempo. Vorrebbe vederlo brillare di felicità e non comprende il suo riserbo. Desidererebbe sentirgli dire che diventeranno il babbo e la mamma più felici del mondo e che quel bimbo è la gioia della loro vita.
- Beh, ho notato che hai i lineamenti più dolci, ma nello stesso tempo più marcati e lo
sguardo…lo sguardo è più languido.
- Allora sono più bella?
- Ma no, cioè sì! Sei diversa, ecco tutto! Sei come…
- Una donna incinta?
- Già!
Alza il capo, si mette su un fianco e la osserva stupito o forse deluso. In silenzio le passa una mano fra i capelli in una carezza lenta, rilassata. Ora il dubbio è chiarito e l’ansia dell’incertezza svanita.
- Ti dispiace?
- No, e a te?
- Io sono strafelice e vorrei condividere con tutti la mia gioia, ma specialmente con te.
- Non dubitare, sono contento anch’io! Ma non mi spiego come possa essere successo.
Eppure abbiamo sempre fatto attenzione.
- Abbiamo fatto attenzione anche quella notte in cui siamo stati attenti due volte di seguito,
troppo vicine perché “loro” avessero già abbassato la guardia!
- Loro chi?
- Gigi…ti prego!
- Loro chi? Ti sto chiedendo?
Nara ingenuamente risponde.
- I tuoi semini, no?
- Ma quando è stato con precisione?
- E’ stato il tredici di febbraio e ti avevo ben avvertito che era un azzardo, ma in quel momento non ci hai creduto.
- E’ vero! Sì, ora ricordo!
Nara sapeva che era rischioso e lealmente lo aveva palesato ma desiderava così tanto un bambino, che contava molto in qualche semino superstite capace di colpire il bersaglio, come Dio ha voluto che fosse.